Sasso Morelli
Tra Sogno e Storia...
Molti studiosi di storia si sono appassionati alle vicende dell’architetto Cosimo Morelli: la storia della sua vita si intreccia strettamente con quella, ben più antica, del borgo di Sasso, componendo una trama affascinante.
Se il Morelli entra nella storia di Sasso nel 1777, ben più antica è però l’origine di questo villaggio. Compare già in un documento del 1150 la citazione di un affittuario a nome di “Guido da Sasso”. Col termine “Sasso” si designava all’epoca una zona del contado a poche miglia da Imola lungo la strada Correcchio, cardine dell’antico stradario romano tra le sterrate Ladello e Selice, che si congiungeva con l’importante ed antica via Emilia.
In questa zona, sorgeva un’abitazione padronale attorniata da alcune modeste case agricole di proprietà dello Stato Pontificio. In un documento del 1412 si legge poi che Sasso, “Villa del contado di Imola”, è concessa dal Papa all’antica famiglia Alidosi. Dal 1572 ne diventa invece proprietaria l’antica dinastia imolese dei Sassatelli.
Ma veniamo al motivo del nome Sasso. Pare che derivi da un grosso blocco di pietra, lì esistente da tempo indefinito, la cui origine è difficilmente spiegabile in un luogo privo di rocce calcaree. Quel sasso è tuttora visibile nella chiesa del Morelli, come pure è ancora conservata, incastonata in una parete della chiesa parrocchiale, un’antica immagine in gesso di una Madonna con Bambino che i Sassatelli offrirono alla venerazione popolare costruendo a Sasso, nel 1573, la prima chiesa-oratorio.
Tale costruzione verrà poi ampliata dal Morelli, il quale sostituirà l’immagine in gesso con una pregevole tela di Madonna con Bambino, proveniente da Roma e attribuita a Antonio Cavallucci, pittore manierista del ‘600. Con il titolo di Madonna della Divina Provvidenza questa immagine è venerata da oltre 200 anni e in suo onore si svolgono solenni festeggiamenti l’ultima domenica di settembre.
Le proprietà dei Sassatelli passarono nel 1690 ai Papotti e da questi al Morelli nel 1777: è a questo punto, dunque, che le storie del borgo e dell’architetto si intrecciano.
Negli scritti degli storici Romeo Galli e Antonio Montanari lo spunto alla conoscenza dell’architetto Cosimo Morelli è dato da un brano, che si legge nella biografia del Morelli scritta dal conte Tiberio Papotti, che dice: “Papa Pio VII il quale fin da quando il Cardinale Chiaramonti teneva la Sede Episcopale a Imola gli fu (al Morelli) sovente benefico e amorevole e che ospite sovente il visitò nella villa di Sasso nomata Morelli, luogo ove egli aveva del proprio costrutta e chiesa e ampia casa padronale, non solo, ma più abitazioni, che danno piacente aspetto di borgata e di piccolo paese”.

La villa domina, quantunque distante, la piazza costituendone quasi il quarto lato.
Le costruzioni della piazza sono scandite da alti archi a tutto sesto entro i quali vi sono archi ribassati che danno luce al loggiato. Il motivo degli archi si riscontra anche nella villa ove se ne vedono due file sovrapposte, una al piano terra ed una al primo piano, all’interno dei quali si aprono le finestre; mentre le finestre della fila sottotetto sono tutte ad arco a pieno sesto.
A tutte sue spese il Morelli edificò la sua villa di Sasso che fu poi chiamata Sasso Morelli. Ella è situata sul Correcchio, che lì passa in Mezzo. Dalla parte di Ponente, con vago disegno suo da fondamenti, è eretto il suo Palazzo con la Chiesa annessa. In detto Palazzo in tempo di villeggiatura erano spesso le brillanti conversazioni, i lauti conviti decorati da ragguardevolissime persone. A Levante di facciata al Palazzo aveva da fondamenti eretto un loggiato che contornava la non piccola piazza, ed era il loggiato abbondante di botteghe colle abitazioni per commodo delli artisti, traffico, e viveri anche per le ville vicine. Ad un lato della piazza aveva formato il teatro per diporto serale delli abitatori, e villeggianti, non poche volte essendosi ivi trovati Cardinali e Principi. Chi volesse descrivere il lepido, grazioso costante carattere del Cavaliere, le brillanti sue vivezze dette con molto sale, e non mai fuori di proposito, dovrebbe impiegare gran tempo libero nello scriverle. Se fu Cavaliere, egli seppe con decoro sostenerne il carattere. Di famiglia ticinese stanziatasi in Imola nel primo ′700, Cosimo Morelli nacque il 6 ottobre 1732 e morì il 26 febbraio 1812. Frequentò le pubbliche scuole, tenute dai Gesuiti e, dal padre Savini dotto matematico, apprese con singolare profitto la geometria e le scienze esatte. Non consta che frequentasse altre scuole. Ma a diciannove anni doveva essere provetto disegnatore e architetto, se l’abate di Santa Maria in Regola gli affidava (febbraio 1751) la costruzione di un’arca, in quella stessa chiesa, che egli doveva, trent’anni dopo, trasformare completamente. Il 29 giugno 1752 prendeva possesso della cattedra episcopale imolese Giancarlo Bandi, patrizio cesenate, ricco di censo e di pietà. Vi restò trentadue anni. Egli fece della diocesi un vasto e sonante cantiere. A lui si deve gran parte del nostro rinnovamento edilizio.
Inclinando al gusto prevalente, il Bandi non mirò, purtroppo, a salvare il bello antico, ma lo distrusse, sostituendo alle vecchie chiese romaniche e gotiche edifizi solenni e teatrali, dove lo spazio e la luce regnano sovrani. Ma vi regnano anche i cornicioni di stucco e le gelide decorazioni di gesso! Al Morelli pensò di affidare la ricostruzione della cattedrale di San Cassiano. Fu il crisma della sua fortunata carriera di artista.
Mandato a Roma ed affidato alla protezione del cardinale Giovangelo Braschi, nipote del Brandi, vi rimase parecchi mesi a studiare gli antichi monumenti, e per il suo carattere franco e gioviale, per la lepidezza del conversare, per la versatilità dell’ingegno prontamente assimilatore, finì per guadagnarsi, colle simpatie del Papa, quelle di cardinali, di vescovi e principi, che gli affidarono lavori e progetti di ogni specie. E quando, nel febbraio 1775, il Braschi salì al Pontificato col nome di Pio VI, la sua fortuna era fatta. Da ogni parte dello Stato Pontificio si ricorse all’estro del Morelli: Macerata, Fermo, Fossombrone, Montegrimano, Osimo, Jesi, Forlì, Ravenna, Lugo, Castel Bolognese e tante altre città e paesi serbano tracce della sua attività (Palazzo Braschi a Roma).
Morto Pio VI, il Morelli trovò nel successore – che era stato vescovo a Imola – la stessa cordiale protezione. Ma i tempi erano mutati e le condizioni si erano fatte, oltre ogni credere, dure. I fallimenti incalzavano: in quello Arrigoni di Genzano, il Morelli perdette di colpo 12.000 scudi; in quello del Banco Acquaroni di Bologna un’altra cospicua somma. Alle cause economiche e politiche si aggiunsero quelle naturali: tempeste, inondazioni, perdita di bestiami. La miseria infieriva ed i coloni si indebitavano irreparabilmente! E l’infelice artista, che, nel suo dinamismo, aveva mirato ad opere grandi di redenzione umana e civile, come la costruzione del villaggio di Sasso, che da lui prende il nome, inchiodato dalla paralisi, vedeva cadere a brani fortuna e speranze. La fama e la fame erano il solo retaggio di tanta operosità. Due anni dopo il Morelli chiudeva gli occhi alla luce della gloria ed al morso della sventura. E scendeva tra pochi ceri e poche preghiere nell’avello di Santa Maria in Regola, dove la sua salma riposa ancora sotto questa semplice lapide: “D.O.M. Antiqua Domus Cosimus Morelli Sibi suisque”.
Il Morelli ebbe una smania di arricchire e di diventare potente. Comprò tanti terreni senza avere i soldi necessari. Aveva fatto acquisti non pagati e le sue finanze andavano assai male.
La esenzione dalle gabelle e l’esercizio della giurisdizione avrebbero potuto giovargli. Quando il Morelli dovette vendere nel 1799 la sua proprietà al principe Stanislao Poniatovski si scoprirono le grandi passività e i mancati pagamenti ai venditori donde sorse lite giudiziaria col Poniatovski, discussa avanti ai giudici di Roma. Sasso, oggetto del suo sogno di ricchezza, se non di grandezza, gli rimase anche dopo la disfatta finanziaria, testimonianza delle sue qualità di uomo e delle idee di artista. Anche nell’arte del Morelli Sasso è un sogno: dimostra come egli avrebbe costruito un borgo con indirizzo a divenire città. Ma è un’illusione perché dietro le graziose facciate sia della piazza, che della villa, c’è ben poco. Cosimo Morelli dovette amare le esteriorità come mostra la continua esibizione del titolo di cavaliere col quale fa precedere la sua firma. La villa ed il borgo con la piazza furono ereditati dal nipote Domenico Morelli, la cui moglie Maria Cardinali li vendette al signor Cosimo Mongardi con rogito Fiandrini in Bologna del 1828.
Cosimo Mongardi era nato nella “Possessione Vaina” presso Sasso Morelli nel 1774. è dalle sue parole, tratte dal suo testamento olografo, che possiamo ricostruire la sua figura di uomo e padre “… trovo prudente disporre tra i miei figli le mie cose, finché per l’aiuto del Signore mi trovo in perfetta salute di mente e di corpo, onde consolidare la concordia che veramente ho veduta fra essi regnare. Mi avranno più volte sentito a dire dell’origine di mia famiglia proveniente da poveri agricoltori… Quello che… fino ad oggi posseggo, tutto lo debbi in prima alla Divina Bontà e Provvidenza, che in modo speciale e coi mezzi più improvvisi mi ha sempre aiutato, affinché procurassi colle mie fatiche ed industrie, onorata possidenza alla mia famiglia…”.

Se per alcuni biografi Sasso Morelli fu un sogno, così non è stato per chi ha vissuto le vicende di questo antico borgo, che ha avuto una storia affascinante, ma anche drammatica. Nel primo ’900, ad esempio, Sasso fu teatro di accesi contrasti sociali e politici, mai però intrisi di feroci odi, ma accettati con la fraternità e la solidarietà tipiche di gente semplice e spontanea raccolta in un piccolo borgo dove le disgrazie e le fortune sono patrimonio di tutti. E ciò fu evidente soprattutto durante la guerra 1940-1945, che vide il paese di Sasso quasi completamente distrutto dai bombardamenti aerei e con decine di vittime.



L’Antica Farmacia di Sasso Morelli

Il gonfaloniere di Imola, in un documento datato 25 ottobre 1830 elenca le “spezierie e drogherie” attive nell’imolese e tra le “spezierie”, dopo le tre di città, annotando che nessuna esiste nei Borghi, cita, fra quelle delle ville, quella di proprietà di Cosimo Mongardi, condotta dallo stesso, definito, nelle annotazioni: “… spacciatore di vettovaglie di ogni genere, alcuni purganti cioè cremor tartaro, mignatte, ecc. e le droghe più comuni”.
Appare pertanto evidente che all’epoca era in attività una spezieria, non ancora francamente connotata come farmacia, ma piuttosto adibita alla vendita di sostanze diverse, fra cui alcune medicamentose.
Il 5 novembre 1831 il gonfaloniere di Imola G. Del Pero scrive: “è pubblico e notorio che mentre visse l’architetto Cosimo Morelli e fu proprietario del villaggio detto Sasso, esistesse per un tempo in detto luogo una spezieria” ed il “pontificio” permesso ad operare venne rilasciato come “diploma della S. memoria di Papa Pio VI” concesso con la motivazione della “… distanza da altri presidi e con la presenza di un medico condotto per comodo dei terrazzani e delle adiacenti campagne”.
Si deve dunque ritenere, su tali basi, che una spezieria fosse in attività fin dall’inizio del 1800: infatti da un documento risulta che questa venne chiusa nel 1822, essendo “decaduta dal primiero lustro la famiglia Morelli”; con tutta verosimiglianza si è trattato di una sospensione dell’attività per alcuni anni e probabilmente la primitiva sede non era nell’edificio principale del paese, ma piuttosto in qualche parte del loggiato antistante.
Questi i dati desunti sulla base di una documentazione certa, ma purtroppo parziale e talvolta incompleta; più certa appare la storia dal 1828, anno in cui Cosimo Mongardi, già affittuario dei Morelli, acquistò da questi l’intera proprietà ed essendo intenzionato a riattivare la “spezieria”, avviò le procedure per ottenere il permesso alla riapertura. Da documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Ravenna si ha prova che la prima domanda per riavviare l’attività fu avanzata ufficialmente nel 1831: il 7 novembre il prolegato di Ravenna autorizzò il governatore di Imola ad anticipare una risposta favorevole, vincolandola però alla prescritta ispezione della apposita commissione, deputata a valutare la salubrità dei locali e la qualità e quantità di medicinali. Alcuni solleciti del Cosimo Mongardi (affinché questo avvenisse), inviati fra il 1831 e il 1832 (documenti anche questi conservati presso l’Archivio di Stato di Ravenna), testimoniano che anche allora la burocrazia aveva tempi lunghi, talché ad un certo punto il prolegato autorizzò detta visita ispettiva da parte di un medico imolese, al fine di abbreviare l’attesa del permesso. L’11 aprile 1832, avendo riscontrato regolare il verbale della visita effettuata alla farmacia del Sig. Cosimo Mongardi, il prolegato G. Battista Codronchi ne accorda l’aprimento.
Di particolare interesse appare oggi la lettura del verbale dell’ispezione effettuata il 4 aprile 1832, ricco di dati che ci mostrano come, fin da allora, le normative di tutela fossero assai severe e ben attente alla salute del cittadino: innanzi tutto viene rilevata “la capacità e la salubrità del locale” elementi fondamentali, allora come oggi, per rendere l’ambiente congruo al lavoro da svolgere; poi si passa alla verifica degli strumenti di misura “conosciuti giustissimi i pesi e le bilance”, non solo, banalmente, per evitare vendite fraudolente, ma, soprattutto per garantire la giusta composizione delle pozioni che, al tempo, venivano tutte preparate direttamente dal farmacista; infine, dopo aver valutato “la severa custodia dei veleni siamo passati all’attenta disamina dei medicinali e delle droghe, che per la qualità abbiamo trovato lodevoli e per la quantità più che sufficienti relativamente alla popolazione…”, testimoniando così un’accurata verifica sia dello stato di conservazione, sia della adeguata presenza di quei presidi che oggi si chiamerebbero salvavita (che pertanto debbono essere costantemente presenti). I redattori della perizia, nella persona del medico Gaetano Solieri e del farmacista Giuseppe Mongardi (non legato da vincoli familiari con il richiedente) completano la loro relazione peritale segnalando “… le doti non comuni del pratico Farmacista…” (il dottor Egidio Toschi) a cui è affidata la vendita. In definitiva, nelle linee generali, quanto ancora oggi viene richiesto era già allora condizione necessaria ed indispensabile per lo svolgimento di una funzione tanto delicata e carica di grandi responsabilità.
Conclusasi in tal modo la lunga vicenda burocratica ed attuato l’aprimento della farmacia, ormai convalidata e ritenuta idonea alla funzione, il 26 ottobre 1840 venne stipulato un contratto d’affitto a partire dal 1° novembre 1840, con validità di sei anni rinnovabili, con il sig. Egidio Toschi, definito “istitore”, abilitato all’esercizio dell’Alta Farmacia dall’Università di Bologna (dal 19/12/1806), proveniente dalla farmacia di Castel Guelfo: il documento di tale affittanza riveste significato particolare, poiché rappresenta la prova certa che il negozio, all’epoca, si trovava già nell’edificio principale, la villa del Morelli (come peraltro dimostrato dai lavori di restauro degli affreschi), quivi trasferito dalla primitiva ubicazione sotto il porticato della piazza. Molto interesse desta però, nella lettura di questo documento, la specifica dei locali usati “per la somma di 36 scudi all’anno, pagabili semestralmente: … una Bottega ad uso di Spezieria con annesso Laboratorio, Cantina, Legnara il tutto fin qui al pian terreno, e superiormente mediante scala di pietra una Sala, Camera, e cucina con comodo non che al piano mezzanini due camere da letto con tutti li suoi infissi…”. Appare pertanto certo che il gestore sig. Toschi risiedeva in locali adiacenti alla farmacia, quindi pressoché sempre disponibile per la popolazione: tale usanza si è protratta fino ai giorni nostri e ancora continua.
Trascorsi alcuni anni senza eventi di rilievo, intorno al 1845, il sig. Toschi, “istitore” (è opportuno ricordare che tale titolo veniva attribuito a chi era preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa, con funzioni direttive per cui, come tale, poteva compiere tutti gli atti pertinenti l’esercizio di essa impresa) ed affittuario della farmacia, avanzando richiesta “della privativa o diritto di piazza”, avviò un contenzioso con il Mongardi che si protrasse fino al 17 marzo 1853, data in cui venne pienamente riconosciuta la ragione di Cosimo Mongardi ed in particolare la totale proprietà della farmacia, riconoscendo contestualmente al Toschi solo il diritto di gestione, secondo quanto e, nei limiti, previsti dal contratto. La storia della “Spezieria-Farmacia” di Sasso, che aveva preso l’avvio come si è visto, in una sede vicina e con connotazioni non strettamente specifiche, assume ora tutte le caratteristiche tipiche di una moderna farmacia, pur sempre legata alle vicende di una zona prettamente agricola, ma perfettamente integrata in un sistema sanitario, condizionato dalle grandi scoperte mediche che rapidamente si susseguono e quindi in continua evoluzione. Infatti, dopo l’abolizione dei collegi e società delle arti, all’avvento del regime napoleonico e con l’apertura della cattedra di Chimica Farmaceutica all’Università di Bologna (primo titolare ne fu il prof. Francesco Maria Coli) vennero promulgate alcune leggi fondamentali; fra queste merita menzione quella del 1859 che, riprendendo disposizioni in vigore fin dal 1700 nello Stato Pontificio, sanciva la libera apertura delle farmacie, regolata dalla distanza (circa 500 metri) e dalla popolazione (una farmacia ogni 3000 abitanti); veniva inoltre confermata la necessità di un farmacista responsabile. Inoltre, nella Legge n° 468 del 1913, che demanda la sorveglianza sulle farmacie ai prefetti, tramite il Consiglio Provinciale di Sanità, si tratta dell’esercizio e della commerciabilità delle farmacie, fra cui quelle di vecchia istituzione, cioè esistenti dall’inizio del sec. XIX: ad esse venne concesso il privilegio ventennale (fino al 1934) di essere gestite da un proprietario non laureato. Fra le 38 farmacie rurali privilegiate della provincia di Bologna vi è quella di Sasso Morelli che, entità riconosciuta e ben radicata e parte integrante del patrimonio della zona, può pertanto fregiarsi del titolo di “Antica”.
Dopo l’istitore Toschi si sono succeduti nella gestione numerosi farmacisti. Dal 1907 la titolarità l’assunse Giuseppe Mongardi che gestì la farmacia, insieme con il fratello Annibale, fino al 1928. Successivamente alcuni eventi meritano particolare menzione: nel 1929 il farmacista, oltre a percepire lo stipendio (L. 800 al mese), fruiva “dell’alloggio e della dozzina”; nel 1933 le autorità ordinarono di installare le “sputacchiere con liquido disinfettante” in ossequio alla Legge Anti Tubercolare. Dal 1940 la farmacia fu gestita dal dottor Alberto Mongardi che la resse continuamente, con una breve interruzione nel periodo bellico, fino al 1999.
A lui sono subentrati i figli, dottori Livia e Andrea, che, facendo tesoro dell’insegnamento e dell’esperienza paterna, uniti alla ricchezza umana della commessa Elide, ne continuano con la stessa passione l’attività, così legata alla vita del paese.